Affacciarsi

Elisabetta Frassine
@Elisabetta FrassinePittura
- Edizione: 2025
- Anno opera: 2025
- Altezza cm: 100
- Larghezza cm: 120
- Profondità cm: 3
Descrizione
"Si accorse che il mondo si era rivestito di forma e colore [...] Sarebbe finito, pensava, quel meraviglioso momento di pace e perdono che un Dio misericordioso le aveva concesso. Si chinò sul davanzale, dove rimase contratta e immobile, aggrappandosi a quegli ultimi brandelli di felicità, con la mente che sia era fatta limpida come il cielo stesso".
L'erba canta, Doris Lessing
L'immagine non è solo la rappresentazione delle cose, ma la conseguenza di una folgorazione.
L'erba canta e le cose chiamano: da qui comincia quello scambio a più direzioni con la realtà, il dialogo tra noi e le cose, la sensazione della vibrazione delle cose, sia essa la luce che riflettono o il suono che emettono.
Dall' Esperienza, insieme profonda ed epidermica, della realtà scaturisce la necessità impellente di restituire attraverso le immagini il proprio vissuto.
Si tratta di fatto di costruire un spazio nuovo: coesistenza di spazi che si articolano in una successione di piani non sempre logici, strutture di segni che ritmano lo sguardo e atmosfere che lo assorbono.
Un luogo che non esiste senza la componente dell'esperienza personale.
I particolari salvano dal ripetersi delle cose, dalla fissità dell'immagine.
Cosa succede se il nostro sguardo incontra un ostacolo, se è costretto ad attraversare la materia per vedere, se viene imbrigliato dalla ripetizione? L'ostacolo aziona il meccanismo del desiderio di andare oltre, la possibilità di sperimentare con lo sguardo la dimensioni estesa dello spazio che diventa tutt'uno con quello interiore.
L'esperienza dell'opera non è quindi fruire la rappresentazione illusoria dello spazio ma vivere lo spazio in sé e tutte le sue qualità sensibili.
Pensieri
Vorrei che sentissi l'umidità che a questa ora sale dal lago , l'aria fresca che inganna per un momento il torrido.
La luce che filtra dal verde , il verde che non la ferma. Dal terrazzo, un affaccio qualunque sulla realtà, in uno stato di quiete apparente tutto sembra essere lì per me. Neanche quello basta alla mia inquietudine.
E io sono irrequieta.
Questo non è il posto numerato della galleria dove lo spettacolo finisce col sipario lasciando agli spettatori la sensazione di aver purgato le proprie tragedie.
Nulla di quella serenità mi appartiene, neanche la sua ambiguità.
Qui forse scenderà la sera, e sarà ancora tragedia ma Senza applausi, solo il corpo sudato e logoro di pensieri sciolti.
Da qui vedo il mondo, ma neanche questo mi basta. Forse è troppo anche per gli occhi: vedere è faticoso se poi non puoi restituire quello che hai visto. Se il dialogo muto con le cose diventa singhiozzi. Se anche il bello ha smesso di parlare. Se anche la supplica non ha più parole.
Pure il verde mi soffoca.
Il caldo illude il corpo che la fatica sia un fatto atmosferico.
Ogni pianta ha una sua minacciosa presenza.
Non respiro, non godo, non vivo della vita altrui. Il verde ha smesso di darmi ossigeno . È troppo.
Tutto entra, ma anche nel meccanismo per cui si assorbono le cose deve esserci una falla. Così sto nell'incoerenza dei sentimenti, Senza più sforzarmi di dargli scopo.
Ma se tra i mille verdi anche uno solo arriva al fondo della retina e li si impressiona, se l'indifferenza non vince sul riverbero della luce, se non solo l'ansia aumenta il battito, non solo l'amaro lo calma.
Non è tutto finito
Tregua è ancora lontana
Tecnica
Acrilico e olio su tela