Lookbook

Lookbook è un dispositivo svuotato della propria funzione, un non-lookbook. L’incongruenza in questo progetto si configura come chiave interpretativa: incongruenza tra possibilità mancate, tra ciò che avrebbe potuto (o dovuto) essere, e ciò che non è mai stato. I capi fotografati costituiscono un insieme di prototipi e pezzi invenduti da me creati che, da quasi un decennio, trattengono una frustrazione produttiva, inattivi secondo la loro funzione primaria: essere venduti. Tale frustrazione è sintomatica dell’ontologia stessa del design e fotografia di moda, nella sua funzione commerciale e nell’atto di rivestimento del corpo nudo. Ciò che emerge è invece un gesto ambivalente: la necessità di escapismo in risposta all’incongruenza rispetto ai capi sul mercato, insieme al desiderio di riconciliazione con l’ideale estetico introiettato dall’immaginario della moda. Il corpo, rivestito da un corpo altro, si oppone alla nuda esposizione attraverso una stratificazione. Le visibili sbavature – la parrucca scucita, le unghie finte, il fondotinta per coprire le folte sopracciglia – sottolineano contemporaneamente l’impossibilità di conciliarsi con l’ideale desiderato, e la possibilità di accedere a un luogo in cui il corpo può realizzarsi. Pur richiamando la grammatica visiva e il formato dei lookbook tradizionali, qui la fotografia si distacca dalla logica commerciale, negando il capo al suo carattere-merce. L’autoscatto sovverte i ruoli degli attori coinvolti nella produzione del lookbook: designer, fotografa, modella, make-up artist e stylist coincidono qui in un’unica soggettività autoriale. Ciò nonostante, disposta nello spazio espositivo secondo una griglia (quattro righe per sei colonne), ogni fotografia è subordinata a una più ampia e impositiva significazione. Priva di cornici e supporti, la fotografia rinuncia alla propria autonomia visiva per evidenziare i limiti delle collezioni di moda, ovvero l’impossibilità per questi capi di esistere al di fuori della loro stagionalità.